TREDICI è la serie TV sul dramma del bullismo che ogni genitore, e adolescente, dovrebbe vedere

di Ben Messina

tredici serie tv

Senza girarci intorno, 13 Reasons Why, Tredici nella versione italiana, è un pugno allo stomaco. Una serie tv che, puntata dopo puntata, guida lo spettatore dentro l’abisso di dolore di Hannah Baker, una ragazza diciassettenne che decide di togliersi la vita dopo una serie continua di delusioni e violenze. Prima di farlo incide 7 nastri, dedicando ogni lato ad una delle 13 persone responsabili della sua tragica scelta.

Prodotta da Netflix, e ispirata all’omonimo romanzo di Jay Asher, questa serie propone diversi spunti di riflessione e merita, a mio avviso, di essere vista tanto dai ragazzi quanto dai genitori. In questo articolo, diverso dal solito, esploreremo gli spunti più importanti che Tredici offre e che ne fanno un prodotto di qualità che può dare inizio ad un dibattito costruttivo.

Nota: ho indicato i punti che contengono spoiler, così che possiate saltarli e leggerli solo quando avrete finito la serie! 

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Da persona a oggetto: il bullismo senza retorica

Hannah racconta la propria verità attraverso le audio cassette, un mezzo analogico che fa da contraltare alla modernità del contesto, dove gli smartphone e i social media sono un pericoloso megafono in grado di far precipitare gli eventi.

Le calunnie messe in giro da adolescenti in piena crisi ormonale, una serie di foto equivoche che si diffondono in pochi minuti sui cellulari di tutta la scuola e Hannah Baker diventa indelebilmente “quella facile”. Non più una persona ma un’etichetta, o meglio, un oggetto. 

Hannah sente che le sarà impossibile farsi conoscere per ciò che è davvero perché l’unica realtà che conta sarà sempre e solo quella che le è stata appiccicataPian piano si svuota dentro, perde la luce negli occhi e la capacità di reagire al pregiudizio. Diventa un contenitore, un oggetto vuoto.

Questo è il processo più pericoloso che può innestarsi nelle vittime di bullismo e Tredici, puntata dopo puntata, ha l’indubbio merito di farlo vivere in prima persona allo spettatore. 

13 reasons why è uno specchio che costringe a guardarci dentro

Fa male guardare Tredici perché è uno specchio che ci obbliga a far i conti con noi stessi e a chiederci se saremmo potuti finire su quei nastri.

È impossibile non fermarsi a riflettere sulle frasi che non avremmo voluto pronunciare o su quelle che non avremmo voluto sentire. Sulla superficialità di alcuni nostri comportamenti o sulla noncuranza che abbiamo riservato a quel nostro compagno di scuola che forse aveva bisogno di aiuto.

Tolti gli eccessi e le superficialità da fiction, è notevole la capacità di Tredici di evidenziare come gli adolescenti vivano in un eterno presente, dove le delusioni non sono vissute come episodi isolati ma si sommano e possono diventare un macigno tanto grande da impedire di vedere una soluzione.

Data la fragilità di Hannah, chiunque sarebbe potuto diventare il protagonista di una di quelle cassette e il messaggio che possiamo trarne è di straordinaria importanza: è necessario essere più empatici nei confronti degli altri, riflettere maggiormente sulle conseguenze delle nostre azioni e sulle frasi che usiamo, perché nessuno è scontato e dall’altra parte può esserci una persona più fragile di quello che pensiamo.

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L’importanza di chiedere aiuto (SPOILER)

Uno dei personaggi di 13 Reasons Why è Mr Porter, un counselor scolastico incapace di prestare attenzione al disperato grido d’aiuto di Hannah: “se anche chi deve farlo per mestiere mi ignora, che importanza potrà mai avere la mia vita?” dirà la ragazza nell’ultima cassetta.

Mi sono chiesto se la presenza di questo personaggio potesse, in qualche modo, scoraggiare i ragazzi dal chiedere aiuto e sono arrivato alla conclusione che non è così. Anzi, ritengo possa servire per mandare loro un messaggio chiaro: il problema non sei tu. Chiedere aiuto non è mai semplice ed è normale sentire il mondo crollare addosso se, nonostante tutti gli sforzi, anche chi dovrebbe non riesce a capirti. Tuttavia, non bisogna vivere questa esperienza come una sconfitta personale, perché il mondo è pieno di professionisti che non aspettano altro che aiutarti. L’importante è non abbandonare al primo tentativo, proprio come Hannah.

I silenzi parlano

Tredici ci ricorda che i silenzi parlano. Lo fanno tanto quelli di Hannah, quanto quelli del co-protagonista Clay che, sconvolto dall’ascolto dei nastri, evita costantemente di rispondere alle domande dei suoi genitori su cosa gli stia capitando, nonostante la cosa gli crei non pochi sensi di colpa.

Lo spunto di riflessione per i genitori è di non considerare i silenzi dei propri figli necessariamente come frutto della mancanza di fiducia, di stima o di rispetto nei loro confronti, ma valutare che possa esserci un problema di fondo legato alla ricerca delle parole giuste con le quali esprimere i sentimenti. Sentimenti che, molto spesso, i figli non riescono in primis a capire e decifrare.

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No, Tredici non istiga al suicidio.

13 Reasons Why è stato accusato da molti di incitare i ragazzi al suicidio. Io la penso diversamente, e non solo per gli spunti di riflessione toccati in precedenza, ma anche per altri due motivi che sono stati, a mio avviso, deliberatamente inseriti per scongiurare ogni atto emulativo.

1) La scelta di mostrare Hannah mentre si toglie la vita.

Mettendo in scena la brutalità e la difficoltà fisica del gesto, con il dolore estremo e la morte che sopraggiunge solo dopo molti minuti di agonia, quella del suicidio di Hannah è una scena che documenta in maniera cruda e realistica quello che è davvero il suicidio, svuotando l’atto da ogni sorta di “romantica epicità”.

2) Vivere la storia attraverso Clay

Ritengo convincente anche la scelta di far vivere l’intera vicenda attraverso gli occhi e i sentimenti di Clay, compagno di scuola segretamente innamorato di Hannah, che diviene la prova vivente dell’errata valutazione della ragazza nel sentirsi insignificante e non meritevole d’amore. 

Questo può essere letto come un invito a riflettere su quanto sia difficile che le persone si comportino esattamente come vorremmo, ma che ciò non esclude che possa esserci chi ci ama, magari segretamente, e abbia altrettante difficoltà a comunicare con noi.

In sintesi: non è possibile dare nessuno per scontato.

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